Dopo lo scoppio della I guerra mondiale, nel gennaio 1915 il Governo italiano abolì i dazi di confine sui cereali, prese i necessari provvedimenti per facilitare i trasporti di grano e farina, accertò le consistenze cerealicole nel paese e stabilì norme per la panificazione e la vendita di farine. Con l’entrata in guerra dell’Italia, lo Stato iniziò a svolgere una rilevante opera di approvvigionamento granario all’estero e dal 1916 al 1921 l’importazione di cereali divenne sostanzialmente monopolio statale. Fu aumentato il rigore delle requisizioni militari di grano e mais e resa obbligatoria la denuncia delle quantità di cereali possedute. Nel tempo i vincoli statali aumentarono, fu fissato un calmiere dei prezzi e lo Stato si interessò degli approvvigionamenti per la popolazione civile. Nel 1917 un raccolto difficile, il regime di bassi prezzi e la disfatta di Caporetto peggiorarono la situazione alimentare. Furono adottati provvedimenti per ridurre i consumi e instaurato il monopolio statale anche per la produzione cerealicola interna. Tra 1919 e 1920 l’aumento del prezzo del pane provocò scontri e proteste: la politica annonaria italiana andò normalizzandosi dopo il 1922, 4 anni dalla fine della guerra.
Dopo l’avvento del fascismo, Mussolini registrò un allarmante calo dello produzione di frumento. Nonostante la “Battaglia del grano”, l'incremento dello produttività agricola risultò insufficiente e circoscritta. Si ricorreva spesso a surrogati della farina di frumento, producendo pane con una miscela di farina di lenticchie, d'orzo e di cicerchie. Il pane bianco era privilegio di pochi e la propaganda si affrettò a screditarlo. Nel 1933 la farina prodotta ammontava a soli 380 gr. quotidiani a testa. Anche la pasta era insufficiente e, per limitare le importazioni di frumento, fu incoraggiato il consumo del più abbondante riso.
Nonostante ciò, l’invenzione della pressa continua all’inizio degli anni ‘30, da parte dei fratelli Braibanti, migliorò e velocizzò il processo di produzione della pasta. Il macchinario fu immediatamente adottato dal pastificio Barilla, che, in espansione produttiva, alla fine del decennio avrebbe iniziato una delle prime campagne di marketing alimentare.
Nella seconda metà degli anni ’30 in Italia erano prodotti annualmente tra i 6 e i 9 milioni di quintali di pasta. La farina macinata per produrre pasta e pane era in gran parte prodotta negli stessi luoghi degli antichi mulini ad acqua, alcuni dei quali dall’inizio del secolo avevano iniziato un processo di modernizzazione con l’acquisto di nuovi macchinari. L’azienda italiana che produsse il numero maggiore di macchine per mulini e pastifici tra le due guerre mondiali fu la OMI di Reggio Emilia.
Con lo scoppio del II conflitto mondiale, fu introdotto il razionamento e propagandato il risparmio alimentare. Dal 1941 la situazione andò aggravandosi. La razione individuale di pane fu ulteriormente ridotta e in alcune città operaie e massaie inscenarono manifestazioni di protesta dette “scioperi del pane”.