Il periodo che va dalla fine della Prima guerra mondiale allo scoppio della Seconda coincide, quasi per intero in Italia, con la storia del regime fascista. Il ventennio dal 1922 al 1943, dominato da un potere totalitario e antidemocratico, non rappresenta però una fase priva di mutamenti. Nel corso degli Anni venti la vita quotidiana nella società italiana non è molto diversa da quella di altri Paesi europei, alle prese con le conseguenze di un conflitto che aveva trasformato sensibilmente modi di pensare e abitudini. Le donne, mobilitate nel fronte interno, rientrano spesso fra le pareti domestiche con una consapevolezza del proprio ruolo assai diversa, maturata nelle vicissitudini del conflitto. L'esperienza della trincea e la mobilitazione bellica hanno trasformato molti uomini rendendoli da un lato più sensibili alla rivendicazione dei propri diritti e dall’altro più influenzabili da una propaganda capace di usare le armi di una retorica salvifica collettiva, per la fondazione di una storia nazionale di gloria, potere e benessere.

Nel corso degli Anni venti l‘Italia resta sospesa fra un «ruralismo strapaesano», strenuo difensore delle tradizioni locali, del folclore e dell'autosufficienza autarchica e una cultura urbana cosmopolita e modernizzante già sperimentata in età giolittiana, più aperta alle pratiche del consumo di massa. La diffusione della radio, favorita dal regime che ne intuisce le potenzialità propagandistiche, porta al successo forme d’intrattenimento che il mercato pubblicitario usa a proprio favore. Ma anche in questo caso lo slancio ha breve durata. Nel novembre 1935 la Società delle Nazioni impone all'Italia, colpevole dell'aggressione all'Etiopia, le “inique sanzioni”. Il regime risponde con l'imposizione di misure autarchiche che dovrebbero portare all'autosufficienza economica, ma che rappresentano di fatto le prove generali della guerra.

Inizia una mobilitazione che agisce con forza sull'opinione pubblica per sensibilizzarla alla sobrietà, al consumo di prodotti nazionali e alla promozione di alcuni prodotti coloniali (è di questi anni la diffusione del karkadè come alternativa al the inglese).

Una propaganda senza tregua si veicola attraverso inserzioni pubblicitarie, rubriche di cucina, riviste e ricettari femminili, quaderni e manuali scolastici.

Mangiare riso anziché pasta - persino Filippo Tommaso Marinetti si spende per contrastare il consumo di maccheroni - non sprecare il pane, consumare carne di coniglio, pesce o verdure, diventano doveri: azioni che contribuiscono a rafforzare l'economia della Nazione e la sanità fisica degli Italiani. Nelle campagne l’organizzazione fascista delle massaie rurali, fondata nel 1933, trasforma molte delle attività tradizionali femminili (cura della casa, della prole, dell’orto e del piccolo allevamento) in azioni strategiche d’importanza nazionale, in logica economica che nobilita e premia la sussistenza. Ma dietro al moltiplicarsi di iniziative, celebrazioni e fiere che sembrano parlare di una dieta vigorosa e variegata, si nasconde un peggioramento delle condizioni alimentari delle classi lavoratrici. Preludio alle più generalizzate e drastiche privazioni che la guerra, ormai imminente, porterà con sé.