La vasta cultura suinicola emiliano-romagnola si rispecchia anche nel consistente numero di prodotti alimentari legati alla lavorazione del maiale. Simbolo di questa cultura nel capoluogo emiliano è la mortadella: prodotto legato ad antiche tradizioni, è a tal punto associato alla città che in molte zone d’Italia si riconosce semplicemente con il nome Bologna.
La prima ricetta di cui si dispone risale al 1644, mentre pochi anni dopo, nel 1661, un bando del Cardinal Legato regolamenta e tutela l’arte dei produttori di mortadelle, membri della potente corporazione locale Compagnia dei Salaroli (fondata nel 1376, nella sua effigie sono presenti un mortaio e un pestello che sembrerebbero indicare proprio la produzione del noto salume). Va detto che la mortadella resta per tutto il XVII e XVIII secolo un prodotto e un consumo di lusso: costa sei volte più del pane e tre volte e mezzo più del prosciutto.
Dalla seconda metà del XIX secolo le tecniche d’inscatolamento e conservazione (in particolare quelle messe a punto da Alessandro Forni) rendono più efficiente la produzione e aprono la strada ad un comparto pieno di promesse. La salsamentaria Colombini, nata nel 1863, ancora nel 1870 lavora grazie a un motore azionato da un cavallo, ma, solo quattro anni più tardi, si è dotata di macchinari avanzati che le consentono di passare in breve tempo da una produzione annua di 800 scatole di mortadella (1874) a 120 mila (1883).
Si tratta di un perfezionamento produttivo che permette alla specialità bolognese di varcare i confini nazionali: il suo mercato si estende al Sud America e all’Asia. Oltre alla Colombini altre ditte contribuiscono a rendere famoso il nome della mortadella; a Bologna hanno sede la Forni, gli stabilimenti dei fratelli Nanni, dei fratelli Zappoli, quelle di Giuseppe Romagnoli, Bassi, Suppini, Samoggia, Paderni, Bertoggi e Lanzarini. In quegli stessi anni Luigi Giusti realizza nella propria officina la prima affettatrice; è il 1873 e i buongustai guardano con scetticismo all’innovazione dichiarando di preferire il tradizionale taglio a mano. Sarà solo nel corso del secolo successivo che l’affettatrice (grazie all’olandese Berkel) si affermerà definitivamente.
Già a fine Ottocento il produttore Ulisse Colombini può affermare che: “fra le industrie più serie ed importanti che Bologna annovera nel suo seno, quella dei salumi tiene indubbiamente uno dei primi posti. Si può affermare con sicurezza che poche in Italia possono vantare un progresso così rapido come quello raggiunto da questa industria e poche fra di esse possono altresì ventare di avere come nei salsamentari bolognesi, cultori esperti ed amorosi, i quali tramite il continuo perfezionamenti introdotti nella confezione delle carni suine, portano l’articolo del salume a quel grado di eccellenza, cui altri assai difficilmente sarà dato su questo punto competere.”
Il successo della mortadella è ormai globale e il segnale inequivocabile sono le prime sofisticazioni e imitazioni. Nel 1931 la Guida gastronomica d’Italia del Touring Club Italiano è costretta a riaffermare la supremazia dei salsamentari bolognesi sui loro imitatori nel mondo. A Bologna in questo periodo sono presenti più di 250 salumerie.
Dopo i drammi e la penuria della Seconda guerra mondiale l’attività riprende velocemente. Già nel 1946, nel retrobottega di un lardarolo di via Riva Reno, viene fondata da Gino Brino e i fratelli Ivo e Gino Galletti l’Azienda Lavorazioni Carne Insaccata Salumi Affini (ALCISA) che dopo vari spostamenti di sede si trova oggi a Zola Predosa. Nel 1947 è la volta della fondazione del salumificio Raimondi, che pochi anni dopo, sotto il nome di Felsineo, si trasferisce anch’esso a Zola Predosa (1963).
Alcisa e Felsineo danno un grande impulso alla standardizzazione industriale del prodotto attraversando una fase in cui le lavorazioni passano lentamente dai laboratori privati dei salumieri – nei quali l’animale è macellato sul posto in quanto non si dispone di moderni metodi di refrigerazione e trasporto – alle lavorazioni in serie presso stabilimenti più grandi e meglio attrezzati.
Nel dopoguerra la mortadella entra persino nella contrattazione sindacale di uno sciopero di minatori. Nel 1947 a Castelnuovo dei Sabbioni (Arezzo) oltre a un certo numero di maggiori tutele e aumenti salariali, i lavoratori chiedono mezz’etto di Mortadella Bologna a pranzo. L’accordo sulla maggior parte delle richieste procede speditamente, ma per ottenere la mortadella saranno necessari ulteriori dieci giorni di sciopero.
La grande fortuna dei salumi nella seconda metà del Novecento fa della mortadella un prodotto di larga diffusione a livello nazionale, celebrato anche dallo sport e dal cinema. Anche grazie al suo prezzo – a differenza che nei secoli passati è assai economica – resta tuttora una delle specialità più popolari di Bologna, la cui esportazione porta il nome della città in giro per il mondo.