Gli alimenti in scatola sono diversi tipi di nutrimenti, carni, legumi, e altre verdure, cotti in acqua bollente (lessatura), conservati in barattoli di lamiera stagnata, chiusi ermeticamente e sterilizzate in autoclave a 120 °C. La loro grande diffusione è dovuta alla alta conservazione nel tempo dei cibi contenuti, i bassi costi di stoccaggio, la resistenza delle confezioni durante il trasporto e inoltre perché il contenuto è immediatamente consumabile senza un'ulteriore cottura.
Il primi a brevettare le conserve di cibo ermetiche furono nel 1810 l'inventore francese Nicolas Apert nel vetro e l'inglese Pierre Durant nello stagno e vennero utilizzate fin dalle campagne Napoleoniche.
Durante la prima guerra mondiale alle truppe italiane o furono distribuite qualcosa come 200 milioni di scatolette. Contenevano 220 grammi di tonno o di carne ciascuna, e venivano consumate solamente come riserva, quando mancava il rancio caldo.
Il termine “ammassi” indica i magazzini di Stato utilizzati per conservare cereali o altri beni primari, al fine di garantire la continuità dell'approvvigionamento alimentare (annona), utile soprattutto per il superamento di periodi di crisi alimentare generati da guerre, cattivi raccolti, carestie. Ritrovamenti archeologici ne testimoniano l'esistenza fin dall'antica Babilonia, Alessandria e Atene, e sono importantissimi anche nella Roma antica.
Assumono nuova particolare centralità durante il ventennio fascista a seguito delle politica autarchica voluta dal regime. In quel periodo gli ammassi sono gestiti dai Consorzi Agrari che rappresentano al contempo lo Stato e la comunità degli agricoltori i quali conservano, in questo modo, un ruolo di preminenza su intermediari, speculatori e commercianti.
Il termine autarchia definisce un insieme d’iniziative economico-politiche che mirano con forza all’autosufficienza produttiva di alimenti, materie prime e beni all’interno di un singolo Stato.
Nel caso dell’Italia fascista l’autarchia finisce per diventare parte integrante dell’ideologia e propaganda del regime. Una delle prime iniziative autarchiche di Mussolini fu la Battaglia del grano (vedi).
Lanciata il 4 luglio 1925, è una campagna annuale per l’incremento della produzione cerealicola nazionale al fine dell’autosufficienza. Con finalità simili, il decreto legge del 14 gennaio 1929 obbliga le amministrazioni pubbliche all’acquisto di soli prodotti nazionali, a prescindere dal loro costo, e il decreto legge del 24 settembre 1931 per l’innalzamento dei già onerosi dazi doganali.
Con toni più estremistici, la politica autarchica è confermata e proclamata da Mussolini all’Assemblea Nazionale delle Corporazioni (23 maggio 1936), in risposta alle sanzioni imposte della Società delle Nazioni (3 novembre 1935: divieto di esportazione dei prodotti italiani all’estero e divieto di commercio d’armi) dopo l’invasione dell’Etiopia (2 ottobre 1935). In quell’occasione Mussolini comunico l’obiettivo di: “realizzare nel più breve termine possibile il massimo possibile di autonomia nella vita economica della Nazione”, per raggiungere una reale “autonomia politica” e “liberarsi nella misura più larga possibile delle servitù straniere”. L’autarchia diventa l’asse portante delle politiche economiche italiane e prosegue anche dopo il ritiro delle sanzioni (4 luglio 1936), riconducendosi a tre tipi d’interventi generali di politica economica:
L’ambizioso progetto autarchico si rivela in buona parte fallimentare, anche a causa dell’incapacità dello Stato di controllare commerci non autorizzati e scambi di valuta illegali. Spesso gli sforzi d’innovazione dell’industria, decisi a tavolino, si dissociavano da vocazioni e tradizioni del territorio, e i costi per la promozione di alcuni prodotti superavano di gran lunga quelli derivati da un normale scambio commerciale. Va riconosciuto che alcuni degli investimenti operati comportarono ammodernamenti tecnologici, creazione d’infrastrutture e produzioni industriali di cui gli italiani usufruiscono soprattutto nel dopoguerra.
Bibliografia:
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P. Ciocca e G. Toniolo (a cura di), Storia Economica d’Italia 3. Industrie, mercati, Istituzioni. 2. I vincoli e le opportunità, Laterza, Roma-Bari, 2004.
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Denominazione che il regime fascista attribuisce a una serie d’iniziative, propagandistiche e di politica economica, volte all’incremento della produzione di grano sul territorio nazionale.
Il 4 luglio 1925 Mussolini avvia una campagna propagandistica per la creazione di un “Comitato permanente del grano”: è la prima iniziativa di una serie di azioni di politica autarchica (vedi Autarchia), rinvigorite, poi, nella seconda metà degli anni Trenta. Nell’iniziativa sono mobilitati, oltre il Partito Fascista, giornali, scuole, tecnici e anche il clero. Il risultato più significativo si registra nel 1933 quando viene toccata la produzione di 81 milioni di quintali di grano, a copertura dell’intero fabbisogno nazionale.
Nel complesso è da considerarsi un’iniziativa poco fruttuosa per il fabbisogno alimentare. Le misure protezionistiche, con l’applicazione di un altissimo dazio doganale, arrivano a raddoppiare il prezzo del grano rispetto alle quotazioni del mercato internazionale. Sono incentivate le coltivazione di terreni scarsamente produttivi, aumentando i costi di produzione. Inoltre capita spesso che, per aderire all’iniziativa, vengano abbandonate colture più redditizie. L’attuazione del progetto si trasforma in un deterrente per sperimentazione e ricerca di tecniche agricole innovative. In particolare si riscontra una diminuzione sensibile della produzione di carne e latticini.
La battaglia per il grano è un’iniziativa militare della Resistenza Italiana per proteggere i raccolti di grano dalle razzie nazifasciste. Durante la Guerra di Liberazione la Battaglia del grano (vedi) si trasforma, per la Resistenza, in una lotta armata per la difesa di grano e altri prodotti agricoli dalle requisizioni di fascisti e nazisti. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 i tedeschi, forza occupante della parte centro-settentrionale del Paese, attingono alle scorte di grano raccolte negli Ammassi (vedi) per spedirle in Germania. Nel 1944, alla vigilia del nuovo raccolto, il Comitato di Liberazione Nazionale (CNL) agisce per impedire nuove requisizioni; a tal fine è promulgata la circolare n.13 del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CNLAI): Difesa del grano dai tentativi di rapina nazisti. Alcuni contadini appoggiano le disposizioni del CNL, spesso accettando di proteggere e collaborare coi partigiani durante azioni di trebbiatura clandestina dei campi. In questo modo un’ingente quantità di grano riesce ad essere nascosta e destinata al fabbisogno di popolazioni e resistenti, ma non mancano casi in cui si decide di distruggere i cereali pur di sottrarli alle requisizioni.
Si definisce bonifica l’insieme di opere tecniche e ingegneristiche atte a migliorare le condizioni di un territorio, incrementandone la produttività e migliorandone le condizioni igienico-sanitarie. Per questo motivo il termine bonifica comprende azioni molto diverse quali l’intervento su eccessi idrici (b. idraulica), su carenze idriche (b. irrigua), su dissesti geologici e ambientali, carenza d’infrastrutture per l’accessibilità a zone montane (b. montana).
All’indomani dell’Unità d’Italia sono promulgate varie leggi su risanamento e tutela dei beni ambientali dirette a specifiche aree d’intervento: acque pubbliche (1865), irrigazioni (1873), patrimonio forestale (1877), opere di sistemazione valliva e montana dei torrenti (1893), restaurazione della montagna (1911). La prima legge organica in materia è la N. 269 del 25 giugno 1882, voluta dall’allora Ministro dei Lavori Pubblici: il romagnolo Alfredo Baccarini che introduce una distinzione tra bonifiche di I e II categoria. Lo Stato interviene su opere dirette ad un grande miglioramento igienico o agricolo del territorio coprendo il 50% della spesa (la parte restante resta a carico di Comuni, Province e privati direttamente beneficiati), mentre le opere di minore importanza e senza rilevanza d’interesse pubblico restano a carico dei privati. L’effettiva capacità d’intervento della legge Baccarini resta limitata e, sul piano operativo, il Meridione esce notevolmente svantaggiato (dal 1882 al 1924 poco più di 4000 ettari bonificati, contro gli oltre 300.000 al nord).
All’indomani della Prima Guerra Mondiale è forte l’esigenza di un progetto più efficace, non diretto al solo risanamento ma anche alla tutela e la messa a cultura delle terre bonificate. Con il Testo Unico del 30 dicembre 1923 vengono ordinate e riunite tutte le disposizioni passate, dividendole fra quelle collegate a interventi di particolare interesse pubblico e sociale, di responsabilità statale, e gli interventi demandati ai proprietari. In epoca fascista l’impegno finanziario e organizzativo dello Stato cresce e il successo più significativo è la bonifica dell’Agro Pontino (due le leggi in materia: decreto del 24 dicembre 1928 che introduce la Bonifica integrale; decreto del 13 febbraio 1933 che abroga quasi totalmente la normativa precedente). In molte zone del meridione le iniziative di bonifiche si scontrano con l’immobilismo dei proprietari terrieri latifondisti che rappresentano un potere coalizzato al fascismo. Per altro la legislazione in materia dovette subordinarsi e integrarsi con quella sulle politiche sanitarie, occupazionali, belliche e di autarchia.
I dati in merito a calorie (calcolate con un valore medio pro-capite) e consumi, deducibili da numerosi documenti commerciali e ministeriali, sono uno strumento empirico spesso utilizzato da storici e sociologi per analizzare la condizioni economico-sociali in un determinato contesto.
Nel corso della Seconda Guerra Mondiale il sistema di Razionamento (vedi), iniziato nel 1940, determina una denutrizione diffusa nel popolo italiano che peggiora di anno in anno fino alla Liberazione e viene gradualmente risolta nel dopoguerra. Le calorie assicurate rappresentano un apporto medio di 1000 al giorno, circa 1/3 di quelle considerate necessarie ad un buon sostentamento per le classi lavoratrici. Per compensare al deficit chi se lo può permettere fa ricorso al Mercato nero (vedi), molto diffuso su tutto il territorio nazionale, anche perché l‘attività di repressione del fenomeno, pomposamente reclamizzata dal regime, non ha gli effetti sperati. Gli organi di polizia non intervengono mai davvero contro i grandi contrabbandieri, mentre la repressione colpisce spesso la povera gente sorpresa con piccoli acquisti illegali.
I dati su consumi e stipendi nelle città del nord Italia restituiscono una situazione sulla carta migliore che nel Mezzogiorno, dove si registra un tasso di disoccupazione più alto. Ma va detto che spesso le condizioni nelle campagne, punto di partenza della filiera alimentare, possono essere migliori, soprattutto in primavera ed estate.
Nella primavera del 1942 a Milano il burro costa 80 lire al chilo; la farina di frumento 50 lire; l’olio 100 lire al litro; le uova 40-50 lire la dozzina. Nelle fabbriche con produzione strategica e salari più alti un operaio specializzato guadagna 3,52 lire l’ora, 2,81 un operaio qualificato, 2,44 un manovale specializzato, 2,29 un manovale comune. Il salario femminile è di 1,52 lire per le operaie di categoria A (equiparate agli operai qualificati) e di 1,24 per quelle di categoria B.
Il salario mensile medio di un operaio è di 550 lire, quello di una donna 291, ma solo nei rari casi in cui si lavora a tempo pieno. I sussidi alle famiglie dei militari sono di 8 lire al giorno per la moglie e 3 lire per i figli. Date queste cifre un mese di lavoro di un operaio medio aveva il valore economico di 11 chili di farina e di 6 chili per un’operaia (utilizzando il prezzo della farina come unità di misura e traducendo i dati ai valori del presente, sarebbe come se un operaio di oggi guadagnasse circa 15 euro al mese, ridotti ad 8 per una donna).
Nel 1942, anche grazie all’inflazione del 400% causata per lo più dal fenomeno della Borsa nera (vedi), il valore medio dello stipendio mensile di un operaio risulta appena sufficiente a coprire la metà del fabbisogno calorico per se se stesso.
Nel corso della Seconda Guerra Mondiale è subito ribattezzata dal popolo come tessera della fame. è un documento, nominativo, bimestrale, che permette, in date prestabilite, di recarsi da un fornitore autorizzato per prenotare generi alimentari o di altra tipologia. Introdotta come documento per gestire e controllare il Razionamento (vedi) permette al negoziante di staccare la cedola di prenotazione apponendo la propria firma. Stampata su carta di colori diversi per distinguere le differenti fasce d’età, la tessera è verde per i bambini fino agli otto anni, azzurra per i ragazzi dai nove ai diciotto anni, grigia per gli adulti. Su ognuna compare la generalità del possessore, scritta con inchiostro nero indelebile.
L’acquirente, dopo una coda spesso molto lunga, la presenta al negoziante autorizzato che taglia le strisce in cima, imprimendo il proprio timbro.
Dato che i prezzi e le quote di razionamento variano di frequente, e siccome molti alimenti sono disponibili solo in dati momenti, diventa uso comune prelevare la quota spettante in un'unica soluzione. Le date di prenotazione e ritiro dei generi alimentari sono annunciate tramite manifesti e trafiletti sui giornali.
Segna la vita quotidiana degli italiani per un lungo periodo: dal 1940 fino al 1949.
Col termine latifondo s’indica una proprietà terriera di grandi dimensioni e il latifondismo è il fenomeno d’accentramento della proprietà giuridica della terra.
La mole del fenomeno in Italia rimane sostanzialmente invariata fino alla riforma agraria del 1950 che limita per legge il possesso di terra e avvia al tramonto la concentrazione fondiaria. Il tema ha una grande importanza politica e sociale in quanto è strettamente correlato allo sviluppo e rinnovamento dell’industria agricola, alla sua produttività, alla carenza e varietà di cibo per la popolazione.
Un esempio eclatante della concentrazione della proprietà terriera risiede nella stessa provincia della capitale del nuovo Regno: al momento dell’Unificazione, nel cosiddetto Agro Romano (circa 208.000 ettari dal Mar Tirreno ai Monti Sabatini) 72 proprietari privati possiedono 11.000 ettari di terra, il patrimonio ecclesiastico è di oltre 7.000 ettari, mentre quasi 2500 ettari sono in mano a opere pie. Fino a tutta la prima metà del ‘900 queste erano le condizioni dell’intero litorale laziale, delle maremme toscane, del Tavoliere delle Puglie, della piana di Metaponto, delle cimose litoranee calabresi tirreniche e ioniche, della piana di Catania, delle terre cerealicole della provincia di Enna.
Fra le due guerre nel ventennio fascista la questione del latifondismo si confonde con la progettazione di opere di bonifica, tanto che spesso, invece di recuperare terre dalla proprietà dei latifondisti, si mira a ricavarne di nuove. Il sistema latifondistico non favorisce una razionale produttività agricola, ciò che, già evidente in tempo di pace, emerge drammaticamente durante la seconda guerra mondiale.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la crisi produttiva degli alimenti, l’insufficienza di cibo, il razionamento e il vasto fenomeno del mercato nero portano a varie forme di protesta organizzata, a volte di matrice politica. Manifestazioni popolari, specialmente di donne, prendono vita nel Mezzogiorno ancor prima della caduta del fascismo. Di particolare importanza sono le agitazioni operaie nei grandi centri industriali del Nord esplose a partire del marzo 1943, nelle quali si denuncia, tra le altre cose, il disagio economico e la carenza di generi alimentari. Gradualmente si costituisce un collegamento fra azioni sindacali, proteste di piazza e lotta armata che porta ad azioni atte a proteggere prodotti agricoli sottratti agli ammassi fascisti. Le proteste contro la fame contribuiscono a costruire consenso fra classi sociali differenti e abbattere barriere nell’ambito dell’ampio fronte antifascista.
Per mercato nero o borsa nera si intendono quegli scambi commerciali di beni di consumo, soprattutto alimentari anche quando primari, esercitati illegalmente. Il fenomeno si manifesta con forza devastante durante la Seconda Guerra Mondiale e già nell’inverno tra 1941 e 1942 se ne manifestano i primi episodi, legati alla carenza di cibo e alla fallimentare politica del Razionamento (vedi). Ciò nonostante siano previste severissime sanzioni contro i borsaneristi (il governo arriva ad applicare la pena di morte per i casi più gravi).
Il fenomeno, che perdura fino al 1946, è diffuso ovunque, ma si propone con diversa intensità al Nord e al Sud e con maggiore impatto nelle città. Mentre al Nord il sistema degli Ammassi (vedi), del Razionamento (vedi) e dei controlli funziona con maggiore efficacia, nel Mezzogiorno, soprattutto in grandi città come Roma e Napoli, il fenomeno di acquisti di contrabbando sovrasta il mercato regolare. A Roma la spesa media alimentare per un nucleo famigliare, pari nel 1938 a 408 lire mensili, sale a 2.533 nel settembre 1943, e a 9.339 nel settembre 1944. Di queste cifre solo il 4% avviene per acquisti con la Carta annonaria (vedi), il 26% si riversa nel mercato libero di generi non razionati e il 70% sul mercato nero.
Per quanto meno grave, la situazione al Nord peggiora dopo l’8 settembre 1943: a Genova, ad esempio, nel solo 1944 i prezzi quasi quadruplicano. A Milano, dal settembre al dicembre del 1944, il pane passa da 25 a 40 lire il kg, il riso da 30 a 40, lo zucchero da 700 a 1000, il sale da 500 a 700.
Questa situazione accentua l’inflazione dovuta anche alle operazioni militari sul suolo italiano: ai bombardamenti, al collasso delle infrastrutture, alle razzie tedesche e alla caduta della produzione agricola e industriale.
Sono chiamati dal regime fascista “orti di guerra” quei terreni coltivati in aeree urbane, di solito all'interno di giardini pubblici. Si tratta di un'iniziativa promossa a partire dal 1940 al fine di contrastare la grave crisi alimentare italiana che si accentua fin dall'inizio della seconda guerra mondiale. Per la propaganda costituisce la reazione di un “popolo fiero, coeso e indistruttibile”. Alla coltivazione degli orti di guerra provvedono gli stessi cittadini o i giovani delle organizzazioni del P.N.F. Si arrivano a coltivare anche le aiuole del centro cittadino e i terrazzi privati in vasi, cassette, e addirittura nelle vasche da bagno. Le trebbiature si svolgono nelle piazze principali delle città e sono vere e proprie manifestazioni del regime, con i covoni ricoperti da bandiere tricolori e vessilli fascisti, benedetti in cerimonia da vescovi e cardinali.
Esempi di ampie aree destinate a queste coltivazioni sono a Roma nei giardini dei Fori Imperiali, a Milano nei pressi del Duomo, a Torino nel Parco del Valentino, a Bologna ai Giardini Margherita e a Villa Putti.
Insieme di provvedimenti straordinari, di solito resi necessari da calamità o guerre, volti a limitare l’uso di alimenti e beni ritenuti quantitativamente insufficienti, al fine di raccoglierli e ridistribuirli secondo criteri determinati. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale il governo fascista ricorre al razionamento, istituendo la Sezione Provinciale Alimenti (Sepral), organismo apposito che ha l’incarico di gestire gli Ammassi (vedi) e la distribuzione degli alimenti.
I primi alimenti ad essere razionati sono lo zucchero (febbraio 1940: 500 grammi mensili pro-capite), poi i grassi commestibili come olio, burro e strutto (ottobre 1940: 800 grammi mensili pro-capite che pochi mesi dopo si dimezzano). Nel dicembre 1940 sono razionati in 2 kg mensili pro-capite i cosiddetti generi da minestra: pasta, farina di grano, mais, riso. Dal gennaio 1941 l’Italia è divisa in compartimenti con la finalità, ufficiale, di soddisfare le abitudini alimentari delle diverse regioni (ad esempio ai compartimenti del Nord spetta più mais, a quelli del Sud più pasta). Ma è evidente che le abitudini alimentari sono meno importanti della necessità di risparmiare sui trasporti identificando il più possibile la zona di produzione con quella di consumo.
Il razionamento del pane entra in vigore nell’ottobre del 1941: prevede una razione di 200 grammi pro-capite (ma prevede aggiustamenti per addetti ai lavori pesanti, malati, donne in gravidanza), ridotta a 150 grammi nell’aprile 1942.
Per carne, patate, baccalà, formaggi, latte e uova vige il sistema di contingentamento provinciale che funziona mettendo a disposizione per periodi diversi (settimanali, quindicinali, mensili) una certa quantità di generi alimentari distribuiti nei Comuni.
La politica dei razionamenti e l’irregolarità delle distribuzioni produce come immediata conseguenza il contrabbando e lo sviluppo del Mercato nero (vedi) che aggrava l’inflazione (dal 1940 al 1942 il costo della vita sale del 43% e addirittura del 67% per gli alimenti).
Gli acquisti degli alimenti razionati sono controllati dal prefetto attraverso l’ausilio di una Carta annonaria (vedi), subito battezzata dal popolo “tessera della fame”.
La carne diventa quasi subito irreperibile, come anche caffè e vino. In alcuni casi si rimedia alla penuria con la promozione di Surrogati (vedi).
Nel 1942 l’Italia tutta è gravemente affamata. La scomparsa, per lunghi periodi, di carne, uova, formaggi, patate e farina è la ragione di proteste di piazza delle donne di tutt’Italia le quali, raccolte davanti ai negozi per le lunghe code necessarie ad ottenere un po’ di pane duro o un po’ di riso con cui sfamare la famiglia, si mobilitano.
L’evidente fallimento dei razionamenti conduce il governo fascista a promuovere in emergenza l’allestimento di Orti di Guerra (vedi) nei centri abitati e industriali.
Nella Repubblica Sociale Italia la quantità di alimenti razionati si riduce ancora, fino a raggiungere quote pro-capite affamanti.
I surrogati alimentari sono quei cibi che per somiglianza di sapori, apporto calorico, e proprietà organolettiche vanno a completare o sostituire una dieta tradizionale generalmente in situazioni di crisi alimentare. La sostituzione di alcuni alimenti con altri mancanti, durante le crisi alementari delle due guerre mondiali, avviene nelle popolazioni anche spontaneamente, per naturale spirito di adattamento, ma soprattutto durante la seconda si assiste a una vera e propria propaganda in riguardo volta a sdrammatizzare la gravissima crisi.
Alcuni esempi: al posto del tè, ovviamente di importazione inglese, si propone il karkadè, infuso importato dalle colonie italiane. Il caffè vene sostituito da orzo. Quando nel 1939 è vietata la vendita della carne per due giorni a settimana (tre giorni nel 1940) si invita la popolazione a mangiare pesce e in generale si promuove il consumo di coniglio. Per fare il pane si miscela la farina di grano, con quella di mais. Alla pasta si sostituisce il consumo di riso, anche in province dove non era abitudine consumarne.