All’inizio degli anni Trenta il regime fascista, impegnato nella ricerca di un più vasto consenso tra la popolazione delle campagne, opera diversi interventi mirati a coniugare le attenzioni per il folklore e la ruralità con le risposte demagogiche da mettere in campo contro la crisi economica dilagante in quegli stessi anni.
Nascono così le Giornate del pane, del frutto, del gelso e soprattutto dell’uva, che in Romagna hanno grande seguito.
La Festa dell’uva viene istituita dal governo fascista nel 1930 su iniziativa dell’allora Sottosegretario al Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, Arturo Marescalchi. Voluta personalmente dal Duce, la manifestazione viene elevata dal regime a festa nazionale con le evidenti finalità di «diffondere il consumo dell’uva, di cui sono note le benefiche qualità nutritive e dietetiche e di dare incremento ad un importante ramo della produzione agraria».
Le motivazioni reali che portano ad organizzare una celebrazione dell’uva sull’intero territorio nazionale sono sia di ordine economico che strettamente politico.
Dal punto di vista economico si tratta infatti di promuovere la vendita e il consumo di vino e di uva da tavola, per far fronte alla crisi in cui versa il settore viti-vinicolo a causa della sovrapproduzione e della conseguente svalutazione del prodotto. La politica economica del regime tenta di risolvere la questione chiudendo il mercato italiano alle produzioni straniere, incrementando il commercio viti-vinicolo con apposite agevolazioni fiscali e organizzando giornate che, tramite la celebrazione del frutto della vite, ne prevedono ampio consumo e smercio. Dato che il consumo si estende anche ai derivati dell’uva come marmellate, succo e soprattutto vino, in aperto contrasto con la politica antialcoolica del regime, la propaganda viene organizzata in modo tale da sostenere, attraverso convegni e conferenze, che il vino, assunto in dosi moderate sia un valido alimento ed un aiuto al miglioramento della razza e che l’uva abbia importanti proprietà terapeutiche. La Festa dell’uva, affiancata ad una intensa produzione ortofrutticola, serve al regime anche per promuovere l’autarchia nazionale in campo alimentare.
Allo scopo di intensificare il consumo di frutta e verdura nel Paese, il governo prescrive la costituzione in ogni Comune di un “Comitato locale di azione” inteso a fare opera attiva ed efficace di propaganda per il consumo di prodotti essenzialmente italiani.
Alla fine del 1935, in conseguenza delle sanzioni internazionali decretate a carico dell‘Italia, Mussolini dà vita ad una nuova "battaglia", o per meglio dire, ad una nuova stretta protezionista che si traduce in un maggiore controllo centrale sui Comitati locali e in una più intensa propaganda.
È proprio la propaganda la ragione politica che sottende le Feste dell'uva, celebrate in tutta Italia fra il 1930 e il 1941. Enfatizzare le feste legate al tempo della vendemmia, radicate da tempo quasi ovunque sul territorio italiano, serve al fascismo per divulgare la propria immagine di partito attento anche alle piccole comunità rurali ed a formare un largo consenso tra i ceti contadini.
La giornata dell’uva che si celebrerà in tutta Italia per propagandare fra tutte le classi il consumo dell’uva come frutta fresca non è quindi una festa bacchica e un’orgia ma la vera celebrazione della semplice, modesta, gustosa uva in grappolo con tutti i suoi svariati pregi nutritivi, terapeutici, economici e la nostra zona così ricca di tale eccellente frutto che costituisce il nerbo del nostro sistema agricolo ben largamente parteciperà a tale manifestazione.
Le feste sono organizzate con grande sforzo dei locali comitati Opera nazionale del dopolavoro (OND) e prevedono quasi ovunque carri allegorici, sfilate in costumi tradizionali e il coinvolgimento di produttori e commercianti locali.
Inoltre, a partire dal 1932, il Comitato nazionale per la Festa dell’uva incarica l’Ente Nazionale per le Piccole Industrie di fornire i cestini e pubblicare un catalogo dei vari tipi di uva prodotti in ogni provincia. La Festa diventa così un’occasione per fornire commesse anche ad un altro settore dell’economia nazionale in crisi: l’artigianato.
Fioriscono anche manifestazioni collaterali come i concorsi di poesia in dialetto, nonchè convegni e conferenze per illustrare le numerose qualità alimentari ed igieniche dell’uva: incontri che vanno moltiplicandosi soprattutto a partire dal 1939 in concomitanza con l'inasprimento dell'autarchia e le prime difficoltà causate dal conflitto mondiale.
La provincia di Ravenna, per la sua forte vocazione frutticola, è uno degli scenari maggiormente attivi nei festeggiamenti, così come ha sottolineato Michele Campana sulle pagine del Corriere Padano del 27 settembre 1930: “se c’è una regione che senta la santità dell’uva questa è la Romagna ed è per ciò che ha risposto con entusiasmo all’appello del Duce. La festa dell’uva si celebrava già da tempi immemorabili, in ogni podere, in ogni casa; ed ogni vendemmia finiva sull’aia con allegri balli al suono degli organetti”.
Ad Alfonsine la festa raggiunge il suo apice nel 1933 e nel 1934 quando, secondo il cronista locale, si registra l'affluenza di 15000 persone. Il Sindaco – in vista dell'edizione successiva - scrive all'Istituto Luce di Roma per convenire su una possibile ripresa cinematografica dell'evento. Bagnacavallo diventa una sorta di terra d'elezione per la festa, per la presenza dei famosi intrecciatori di Villanova che confezionano i cestini con cui distribuire i grappoli a livello provinciale.
A Lugo, sede di numerose cantine ed aziende di trasformazione per liquori ed aceti, il vino e l'uva forniscono spunti a poeti e musicisti come Ugo Ojetti e Francesco Balilla Pratella. La festa dell'uva si inserisce sulla precedente e già rinomata Festa del vino.
Un discorso particolare in ambito ravennate lo merita Massalombarda, territorio vocato alla frutticultura. Qui la festa dell'uva viene offuscata da quella delle pesche, celebrata ogni anno nel mese di agosto. L'edizione della festa delle pesche del 1938 viene riprese dall'allora EIAR che trasmette il resoconto della giornata al giornale radio delle ore venti; mentre l'anno successivo, viene organizzato il primo Convegno italo-tredesco di studio sull'organizzazione dell'agricoltura che vede tra i partecipanti, H. Bache, Sottosegretario all'Agricoltura del Reich.