Nel giugno del 1914, a Bologna, le consultazioni per il sindaco vedono affermarsi il Partito Socialista di Francesco Zanardi, eletto tra molte polemiche da parte di conservatori e monarchici. Il programma socialista prevede una serie di riforme radicali nel settore abitativo e nei consumi alimentari che colpiscono gli interessi della borghesia cittadina (tra i progetti quelli di un panificio e di una latteria comunale). Già a luglio i prezzi dei generi alimentari cominciano a salire e la merce a sparire dai negozi. Dopo un primo tentativo di applicare il calmiere, l’amministrazione decide, il 28 agosto, di aprire un piccolo spaccio municipale sotto il portico del Podestà, per la vendita diretta di uve da tavola a 20 centesimi al chilo (a fronte di un prezzo nei negozi tra i 30 e i 35 centesimi). Il successo è grande e si allarga anche al pane, al latte, al riso, alla verdura e alle frattaglie (che provengono dallo stabilimento militare di Casaralta). Alla fine del 1915 gli spacci sono 5 e sulle pagine dei giornali si comincia a parlare di Comune fruttarolo, Comune mugnaio e Comune bottegaio.

Per legalizzare l’operazione il sindaco Zanardi convoca alla fine dell’anno un’assemblea in Sala Bossi, nella quale si costituisce l’Associazione dei Consumatori cui passa la gestione degli spacci (nasce l’Ente Autonomo dei Consumi). Nell’agosto del 1916, con decreto luogotenenziale pubblicato sulla Gazzetta del Regno, l’iniziativa del Comune viene approvata e l’Ente diventa ufficiale nel marzo 1917. Agli spacci si aggiunge anche il panificio comunale, che già nel febbraio 1917 produce pane per quasi la metà del fabbisogno giornaliero cittadino. Il successo dell’Ente deriva dal riuscire a coniugare «in anticipo sui tempi i vantaggi della grande distribuzione e degli acquisti centralizzati con la distribuzione organizzata su negozi di dimensione tradizionale, distribuiti capillarmente sul territorio, quasi porta a porta con i clienti, oltre a fondarsi sulla diretta partecipazione alla gestione dei clienti stessi». Il provvedimento salva la città dai disordini per la fame altrove più frequenti e permette di differire il razionamento alimentare di parecchi mesi.

L’attività:

non si fermava al solo approvvigionamento dei ceti popolari, ma era anche rivolto alle forniture per gli enti pubblici, all’esercito ed infine all’approvvigionamento delle piccole cooperative di consumo della provincia ed, in alcuni casi, anche di province vicine. A queste l’Ente, con spirito di solidarietà cooperativa, vendeva derrate a prezzi tali da consentire loro di fare concorrenza ai prezzi praticati dall’Ente stesso. Quest’ultimo rapporto era iniziato con fatica durante la guerra, ma si sviluppò successivamente fino ad arrivare alla costituzione di una Federazione Provinciale delle Cooperative di Consumo nata per coordinare efficacemente l’azione delle cooperative aderenti per svincolarsi dal vassallaggio del grossista e per orientare decisamente le masse consumatrici verso le forme collettive di soddisfacimento dei loro bisogni.

Per rifornire la ventina di spacci presenti a Bologna alla fine della guerra l’Amministrazione si avvale delle navi Andrea Costa e Giosuè Carducci che trasportano grano dall’Argentina e carbone dal Regno Unito. E tuttavia la fine del conflitto non segna la fine della penuria alimentare: lo testimoniano i furti commessi ai danni dell’Ente, il più grave dei quali avviene nel magazzino generale sotto il Pincio (novembre 1919).

L’Amministrazione fascista riconoscerà l’importanza sociale dell’Ente che cesserà le sue attività fra il 1935 e il 1936.


Bibliografia:

G. Miti, Il forno del pane e l’ente dei consumi di Zanardi, in «Il Carobbio», XXVI, 2000, Bologna, Patròn.