Se si percorre l'autostrada A14 Bologna-Taranto in direzione Rimini, a un certo punto iniziano a comparire ai lati della strada filari di frutteti, di peschi soprattutto: questo è il segnale che si sta passando dall'Emilia alla Romagna, dalla provincia di Bologna a quella di Ravenna. Qui la frutticoltura specializzata, sviluppatasi a fine Ottocento nel territorio di Massa Lombarda, conosce nel secondo dopoguerra un vero e proprio boom, rappresentando un trampolino per la rinascita economica del territorio.
Nel giro di vent'anni, dal 1950 al 1970, la superficie destinata a colture legnose in provincia di Ravenna registra un incremento del 444% passando da 8.185ha a 44.194ha: nel circondario di Lugo essa rappresenta il 51% della superficie complessiva messa a coltura e il 45% in quello di Faenza. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta l'incremento riguarda soprattutto frutteti e i pescheti la fanno da padrone; intorno alla metà degli anni Cinquanta i pescheti occupano 6.000ha, solo nell'anno 1954-55 ne vengono impiantati oltre 1000ha. Con questi numeri la provincia di Ravenna ottiene in quel periodo il primato nazionale della produzione di pesche, produzione che viene collocata per circa l'80% sul mercato interno. Un trend che prosegue anche nei due decenni successivi: nel 1970 il 49,5% della superficie coltivata a colture legnose specializzate è a frutteto, il restante a vigneto; in particolare nel 1971 il comprensorio di Lugo arriva a produrre il 57% dei prodotti frutticoli esportati dalla provincia.
In questa fase la crescita del settore frutticolo è soprattutto quantitativa: aumentano le superfici coltivate, gli investimenti e il numero di stabilimenti per la conservazione e la commercializzazione. Nascono, poi, numerose imprese cooperative che cercano di gestire direttamente il passaggio dalla produzione alla vendita. Le cooperative si dotano di celle e impianti frigoriferi e di linee per la lavorazione e la confezione della frutta; ma non tutto il prodotto viene assorbito rapidamente dal mercato, ciò che danneggia soprattutto pesche e pere. Nasce, così, l’esigenza di trasformare in polpe o succhi la frutta rimasta invenduta in frigorifero o quella in avanzato stato di maturazione.
Tra le varie ditte operanti in questo campo, nel territorio si distingue la S.A. Massalombarda che nel 1946 lancia – col brand Yoga – il primo succo di frutta, ottenuto miscelando polpa di frutta con acqua zuccherata. È un prodotto destinato a una larga diffusione, soprattutto da quando, negli anni del boom economico, entrano a far parte delle abitudini alimentari degli italiani snack, succhi e altre bevande analcoliche. Contribuisce a questo successo anche una ben mirata politica di campagne pubblicitarie: la politica di brandizzazione è talmente efficace che Yoga diviene uno dei termini con cui si finisce per indicare il succo di frutta.
Negli anni Settanta il settore agroalimentare romagnolo conosce una fase di assestamento e razionalizzazione, in cui prendono piede cooperative di trasformazione di secondo grado in grado di realizzare un processo d’integrazione verticale. Sono i decenni in cui la frutticoltura riesce a legarsi all'industria e al commercio, sollecitando il loro sviluppo e creando così una filiera produttiva che va dalla terra alla tavola.