Per secoli nella Pianura Padana gli uomini hanno tentato di sottrarre terra alle acque dei fiumi che periodicamente inondano campi e abitazioni ristagnando, senza nessuna via di scolo, per mesi, spesso fino all'inondazione successiva. I lavori di bonifica realizzati fino al XIX secolo si rivelano all'inizio del '900 oramai inadeguati a fronteggiare il progressivo impaludamento delle terre padane, gravate anche dalla enorme quantità di detriti che i fiumi appenninici scaricano a valle. Gli effetti del fenomeno, oltre all'insalubrità delle zone, sono registrati con precisione nel 1925 quando la misurazione fatta presso il comune di Bondanello rileva che l’alveo del fiume Secchia è passato dai 12.25 metri sul livello del mare del 1589 ai 14,80 di quell'anno.
A partire dal 1920, in anticipo sulla razionalizzazione giuridica del 1923 della legge Baccarini e grazie alla massiccia introduzione del lavoro meccanizzato – unica vera e formidabile arma per riuscire a perfezionare l'opera iniziata con le sole forze dell’uomo secoli prima - inizia quindi un imponente opera di bonifica e canalizzazione volta a risolvere il problema del ristagno idrico delle aree depresse modenesi e reggiane. Tale intervento muta radicalmente la geografia paesaggistica della pianura emiliana - caratterizzata da secoli dalla tradizionale ‘piantata’ (filari di salici, olmi e/o pioppi attorno ai cui tronchi veniva coltivata la vite) – e accresce la disponibilità di terre coltivabili attraverso una sistemazione idraulica definitiva. Insieme alla realizzazione della prima linea ferroviaria compiuta alla fine dell’800 – che aveva incentivato lo scambio di merci e persone aumentando la competitività tra produttori – le opere di bonifica incrementano le coltivazioni intensive – riso e vino soprattutto - incidendo gradualmente anche sugli stili e le abitudini alimentari, e spingono verso l'abbandono della ‘piantata’ in favore dei 'campi aperti'. Le risaie, in origine frutto dell'unico utilizzo possibile in territori gravati da acque stagnanti, diviene, con la realizzazione dei canali di scolo e irrigazione, non più una coltura permanente e quindi antigienica, ma avvicendata a frumento e prato, un elemento della produzione conplessiva.
Nonostante la meccanizzazione del lavoro e l'uso massiccio delle 'grandi macchine' la bonifica impiega un'enorme quantità di forza lavoro: migliaia di uomini sono impiegati come scariolanti e birocciai e l'opera entra nella memoria collettiva come impresa titanica, sforzo collettivo ma anche sfruttamento e vessazione, in generale come il prezzo pagato per quella modernizzazione che avrebbe dovuto garantire un miglioramento generale del tenore di vita sia dal punto di vista igienico che alimentare.
Si ringrazia per la gentile concessione del materiale fotografico il Centro di ricerca etnografico dei Musei di Palazzo dei Pio