Denominazione che il regime fascista attribuisce a una serie d’iniziative, propagandistiche e di politica economica, volte all’incremento della produzione di grano sul territorio nazionale.

Il 4 luglio 1925 Mussolini avvia una campagna propagandistica per la creazione di un “Comitato permanente del grano”: è la prima iniziativa di una serie di azioni di politica autarchica (vedi Autarchia), rinvigorite, poi, nella seconda metà degli anni Trenta. Nell’iniziativa sono mobilitati, oltre il Partito Fascista, giornali, scuole, tecnici e anche il clero. Il risultato più significativo si registra nel 1933 quando viene toccata la produzione di 81 milioni di quintali di grano, a copertura dell’intero fabbisogno nazionale.

Nel complesso è da considerarsi un’iniziativa poco fruttuosa per il fabbisogno alimentare. Le misure protezionistiche, con l’applicazione di un altissimo dazio doganale, arrivano a raddoppiare il prezzo del grano rispetto alle quotazioni del mercato internazionale. Sono incentivate le coltivazione di terreni scarsamente produttivi, aumentando i costi di produzione. Inoltre capita spesso che, per aderire all’iniziativa, vengano abbandonate colture più redditizie. L’attuazione del progetto si trasforma in un deterrente per sperimentazione e ricerca di tecniche agricole innovative. In particolare si riscontra una diminuzione sensibile della produzione di carne e latticini.