L’opera di Angelica Devito Tommasi, già autrice di un Libricino di cucina popolare (1904), si pone a metà strada fra ricettario femminile e di guerra. La donna, in tempo di guerra trasformata nello stereotipo patriottico dell’infermiera, contraltare della figura del soldato, vigila sulla salute della propria famiglia attraverso la cura della cucina. Molta attenzione è dedicata alle minestre, adatte alla convalescenza: dalla dieta liquida ai primi cibi solidi. Nei brodi si potranno cuocere: «capellini sottilissimi, lenticchiole piatte, pastine a forme tonde o altrimenti piene» o «paste sottili e minutissime, glutinate o iperglutinate»; tutte possibilmente prodotte «da fabbrica accreditata. La vasta gamma di formati citati testimonia dell’evoluzione produttiva dell’industria pastaria.

Fuori dai confini di una cucina che pare quasi aerea il ricettario mostra alcuni pregiudizi: risotti e paste asciutte sono adatti «solo per le convalescenze inoltrate o per i trattamenti di sovralimentazione». Tutto ciò che è gastronomico diventa volgare o pericoloso e necessita di semplificazione. Chi continua a desiderare vivande complesse viene definito un «dilettante di reminescenze gastronomiche». I più affezionati alle proprie - cattive - abitudini sono meridionali.

Queste voglie o sfili, sono collegate a pregiudizi tradizionali inveterati, nei paeselli del Mezzogiorno le voglie sono spesso per gusto degenerato, peperoni forti, fichi d’inverno, ricotta forte, formaggio pecorino fermentato e bacato, albicocche e susine acerbe e altre delizie del genere. In generale la voglia è spesso stimolata da amici e parenti che, avendo in casa loro allestito qualche rarità, sentono il dovere di offrirne a chi è in pericolo di vita. Le voglie sembrano essere in ragione del grado regionale o famigliare di civiltà, in quanto voi trovate un malato piemontese che vi domanda una beccaccia, un ligure che vi chiede dei funghi, un veneto che vi domanda dei seppiolini, il che parrebbe meno pericoloso del peperone e del cacio spunto.
— pp. 108-9

I principi-base della tipicità gastronomica in divenire risultano depotenziati da questo atteggiamento salutista e la dieta si alleggerisce anche per motivi che hanno a che fare con i sacrifici richiesti dalla guerra appena iniziata. Ma non si tratta solo di questo: la semplificazione della pratica cucinaria è motivata anche dalla volontà di liberarsi delle sovrastrutture culturali derivanti dalle sopravvalutazione delle funzioni alimentari. Nuovi modelli di vita impongono salutari trasformazioni anche a causa della «mancanza assoluta di tempo da perdere in cucina a far marinature, farciture, composti, triturazioni e tante altre cose che rendono il cibo disadatto a chi ha buoni denti e a chi non ne ha».

Secondo l’autrice, effettivamente educata alla pratica infermieristica, la propaganda socialista e le esigenze del lavoro moderno concorrono a fissare le coordinate di una civiltà più giusta dove la cucina sarà, anche per merito delle donne, più leggera e senza grassi.

Il tempo è vostro, vostre sono le vittorie che sono riserbate alla donna nel volgere di questa prima parte di secolo, per tutti i suoi riscatti: morali, economici e anche politici. [...] Io dico a voi: vogliate essere gelose del diritto di accudire con ogni maniera di operosità, di diligenza e di illuminato affetto; ai bambini, ai vecchi stanchi, ai malati, soprattutto di casa vostra. [...] Nella consolazione di avere ben spesa nelle sue funzioni più alte in un che più modeste, la vita.
— p. 110