Ada Boni, La cucina romana, Roma, Edizioni della rivista Preziosa, 1929

La cucina romana è un sintetico ricettario di 144 e 9 capitoli. Definito dalla sua autrice opera «di volgarizzazione culinaria» è pubblicato per stabilire l’ortodossia della cucina di una romanità definita buongustaia e amante del buon vino. Materie prime di base sono nella «triade insuperabile» di piselli, fave, carciofi. Poi abbacchio, capretto e agnello nel periodo pasquale e infine pecorino e ricotta «di cui a Roma di fa uso enorme». Grande rilievo hanno i primi piatti:

«Se la minestra in brodo occupa un posto non disprezzabile nella tavola romana, un posto preponderante viene accordato a tutta una serie di minestre saporitissime dette col battuto. Il romano ama le fettuccine all’uovo, fatte in casa, ma ha anche un debole per gli spaghetti. Seguono i famosi gnocchi e, a più grande distanza, qualche caratteristico risotto e poche altre specialità».
— p. 9

Gli spaghetti sono «prediletti fino all’abuso» e la prima ricetta presentata è alla “matriciana”, con la variante alla “marchiciana” (senza pomodoro e con guanciale a fettine). Compaiono anche gli Spaghetti a “cacio e pepe”, molto stimati per il gusto piccante che invita al consumo di vino; mentre è assente la Carbonara che, secondo una certa vulgata, sarebbe nata durante i mesi dell’avanzata alleata nella zona centrale della penisola.

Il catalogo della cucina si arricchisce grazie all’offerta della ristorazione professionale - di forte influenza in una città già terziarizzata - e attraverso la restituzione di un consumo cittadino, presso botteghe che approntano specialità quasi pronte (come pollivendoli e norcini).

I pollivendoli romani hanno spesso in mostra dei monticelli di budelline e generalmente queste budelline sono già aperte e nettate. Se così non fosse converrà aprirle e nettarle accuratamente. Le nostre nonne le aprivano forzandole e lacerandole sul fuso da calze dette a Roma “mazzarello”
— p. 62
«I “norcini” sono dei negozianti di carne suina i quali durante l’inverno vengono a Roma per la stagione del maiale, che manipolano e vendono nelle loro botteghe. Le quali botteghe – per tradizionale connubio – vengono durante i mesi estivi adibite a negozi per la vendita di cappelli di paglia. Così i due commerci, che hanno una sfera d’azione limitata ad una parte dell’anno, possono valersi di un unico locale. Come la parola dice “norcino” significherebbe nativo di Norcia, ma di norcini ne esistono a Roma di tutti i paese, sicchè la parola, allargando il suo significato di origine è venuta ad indicare tutti coloro che esercitano durante l’inverno il commercio delle carni di maiale [...] tra le varie preparazioni, vendono i “ budelli di maiale”, pezzi di intestino convenientemente salati e aromatizzati e lasciati poi ad asciugare. Questi budelli offrono un cibo non certo fine, ma talvolta ricercato dal popolo. La loro preparazione è semplicissima. Si tagliano i budelli in pezzi e si fanno scaldare pian piano in padella, con pochissimo strutto.
— p. 70.

Roma è anche città di piccoli rituali sociali, di comitive che frequentano le friggitorie o le piccole osterie dove assaggiare la “Bruschetta” con aglio e olio:

Non è infrequente il caso che gaie comitive di nottambuli, uomini e donne, penetrino in qualche ritrovo alla buona per gustare questa famosa bruschetta votandosi volontariamente a tutte le conseguenze di questa rusticissima degustazione: conseguenze che possono riassumersi in un grande bruciore di bocca ed evidentissime traccie non troppo profumate nell’alito. Del resto la bruschetta trova pure solitari ammiratori; e coloro che dopo cena amano recarsi fuori di casa per bere ancora un bicchiere di vino, trovano in questa preparazione un ottimo alleato e un magnifico pretesto perchè il bicchiere di vino possa più o meno moltiplicarsi
— p. 103.

 Si tratta di un ricettario di grande interesse che testimonia la diffusione, già alla fine degli anni Venti, di particolati pratiche di consumo e socialità, destinate ad ampia diffusione nel periodo del boom economico.