L’aceto balsamico tradizionale di Modena e gli sviluppi della produzione industriale


L’aceto balsamico è un prodotto identitario della cultura gastronomica modenese. Diverse famiglie lo realizzano in autonomia e secondo il proprio gusto, generando una pluralità di aceti balsamici diversi. Le botti per l’invecchiamento del “mosto cotto” formano batterie che vengono considerate patrimoni identitari da custodire e trasmettere ai discendenti in eredità o in dote. Intorno alle acetaie, allestite in ambienti arieggiati e spesso posizionati ai piani più alti delle case, prende forma il mito della “tradizione secolare”: le strategie del marketing hanno retrodatato le origini del balsamico, riconducendole alla storia del ducato estense. In realtà il prodotto attuale è l’erede di una lunga tradizione di aceti, ma è stato codificato solamente in età contemporanea.

Negli ultimi decenni dell’Ottocento alcuni proprietari di acetaie partecipano a fiere ed esposizioni in Italia e in Europa. Le loro attività non sono tuttavia molto documentate, poiché fino al secondo dopoguerra la produzione e il consumo dell’aceto balsamico rimangono legati all’economia domestica e alla dimensione del dono. Mancando la necessità uniformatrice del mercato, non esistono né una lavorazione standard, né un’istituzione depositaria del controllo qualità.

Negli anni Sessanta, tuttavia, il boom economico cambia le abitudini lavorative e alimentari degli italiani. Le acetaie familiari faticano a conciliarsi con i nuovi ritmi di vita: in una società che si urbanizza i prodotti industriali si diffondono rapidamente a discapito di quelli tradizionali. Nel 1965, poi, una legge stabilisce la denominazione “Aceto balsamico di Modena” senza collegare univocamente il prodotto al territorio provinciale: le aziende possono dunque utilizzare il nome e la fama del balsamico modenese per mettere sul mercato beni prodotti altrove con materie prime provenienti da altre realtà geografiche.

Tra il 1967 e il 1969, quando la crisi della “tradizione secolare” sembra sempre più grave, a Spilamberto un gruppo di appassionati fonda la Consorteria dell'Aceto Balsamico Tradizionale, un’associazione che definisce, valorizza e tutela dalle contraffazioni il patrimonio identitario del mosto cotto. L’operazione ha il sostegno dell’Amministrazione comunale, che nello spirito del modello emiliano agevola le sinergie tra le istituzioni locali, i consorzi degli attori economici e i cittadini. L’elaborazione di un canone eleva l’Aceto Balsamico Tradizionale (ABT) alla dignità di prodotto tipico, distinguendolo dall’aceto balsamico di Modena (ABM).

A partire dagli anni Settanta diverse aziende agroalimentari mettono in vendita con il proprio brand piccole partite di ABT accanto ai prodotti industriali. Nascono così nuove opportunità di mercato sia per le aziende familiari sia per i grandi marchi. Il fascino del mosto cotto dà vita a uno “storytelling” che favorisce la diffusione dell’ABM, “avatar” industriale del prodotto tradizionale, oggi tutelato dall’indicazione geografica protetta (IGP).

Negli anni Ottanta si sviluppa dunque un circolo virtuoso che lancia l’ABM sui mercati di tutto il mondo, mentre l’impegno della Consorteria e un cartello tra i produttori alimentano la prosperità della tradizione. Il 5 aprile 1983 un decreto ministeriale riconosce all’aceto balsamico tradizionale la denominazione di origine controllata (DOC), oggi denominazione d’origine protetta (DOP). I piccoli produttori si ricavano dunque una nicchia di mercato continuando a investire sul proprio patrimonio identitario.