Con l’entrata in guerra dell’Italia, le campagne contro gli sprechi alimentari, per l’utilizzo di avanzi e surrogati nella dieta quotidiana, per aumentare e migliorare le produzioni agricole - una costante degli anni precedenti - diventano sempre più martellanti.

Il regime amplifica ed estende la diffusione di articoli, pubblicità e opuscoli propagandistici con consigli e suggerimenti, rivolti a produttori e consumatori, che paiono diventare sempre più imperativi e ricatti patriottici: «Vincere. Bieticoltori! Anche nelle prime fasi del lavoro, usate tutte le cure possibili e i sistemi più razionali per raggiungere la meta dei 50 q.li di saccarosio per ettaro. Il paese attende da voi il suo fabbisogno di zucchero e alcole carburante per la nostra vittoria». E ancora: «I soldati sottoposti alle eroiche fatiche della guerra, hanno bisogno dei grassi economizzati dai cittadini» (Burro o cannoni, 1940).

Le direttive in campo alimentare propongono agli italiani di fare colazione con un grappolo d’uva «che può sostituire il solito zabaione d’anteguerra» perchè «in misura diluita contiene sostanze con funzione analoga a quella che fa tanto desiderare e ricercare le uova», ormai introvabili sul mercato legale, e di utilizzarne i semi tostati per produrre una bevanda che dovrebbe assomigliare al caffé; di allevare galline e conigli nelle terrazze cittadine per superare la mancanza di carne bovina; di cucinare con il Vegedor (un estratto a base vegetale), che ha «il medesimo sapore e la medesima fragranza della cucina di tempo fa», per rimpiazzare i grassi, e così via.

Le prescrizioni e i dettami del regime abbondano anche nei nuovi ricettari e nelle rubriche di cucina, dove vengono suggerite tecniche inedite e singolari accorgimenti per mettere in tavola piatti definiti non già dai loro ingredienti ma da quello che non contengono. Ed ecco, allora, comparire ricette come il «finto caviale», la «finta maionese», la «finta panna», operazione tutta propagandistica che serve a «travestire la penuria» (M. Mafai, Pane nero, p. 90) e «mette in luce non solo il livello infimo raggiunto dall’alimentazione italiana, ma anche a quale punto di spietato cinismo [sia] giunta la comunicazione politica del regime» (A. De Bernardi, p. 131).

Il regime fascista, nonostante la strombazzante propaganda, non riuscirà a garantire ne “il burro” né “i cannoni”, dimostrandosi del tutto inefficiente: subirà sconfitte militari su tutti i fronti di guerra e non riuscirà a garantire le condizioni minime di sopravvivenza della popolazione (A. De Bernardi, Alimentazione di guerra, p. 135).


Approfondimenti bibliografici:

Alberto De Bernardi, Alimentazione di guerra, in Luca Alessandrini, Matteo Pasetti (a cura di), 1943: guerra e società, Roma, Viella, 2015.

Miriam Mafai, Pane nero. Donne e vita quotidiana nella seconda guerra mondiale, Milano, Mondadori, 1987. 

Guerra allo spreco