Insieme di provvedimenti straordinari, di solito resi necessari da calamità o guerre, volti a limitare l’uso di alimenti e beni ritenuti quantitativamente insufficienti, al fine di raccoglierli e ridistribuirli secondo criteri determinati. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale il governo fascista ricorre al razionamento, istituendo la Sezione Provinciale Alimenti (Sepral), organismo apposito che ha l’incarico di gestire gli Ammassi (vedi) e la distribuzione degli alimenti.

I primi alimenti ad essere razionati sono lo zucchero (febbraio 1940: 500 grammi mensili pro-capite), poi i grassi commestibili come olio, burro e strutto (ottobre 1940: 800 grammi mensili pro-capite che pochi mesi dopo si dimezzano). Nel dicembre 1940 sono razionati in 2 kg mensili pro-capite i cosiddetti generi da minestra: pasta, farina di grano, mais, riso. Dal gennaio 1941 l’Italia è divisa in compartimenti con la finalità, ufficiale, di soddisfare le abitudini alimentari delle diverse regioni (ad esempio ai compartimenti del Nord spetta più mais, a quelli del Sud più pasta). Ma è evidente che le abitudini alimentari sono meno importanti della necessità di risparmiare sui trasporti identificando il più possibile la zona di produzione con quella di consumo.

Il razionamento del pane entra in vigore nell’ottobre del 1941: prevede una razione di 200 grammi pro-capite (ma prevede aggiustamenti per addetti ai lavori pesanti, malati, donne in gravidanza), ridotta a 150 grammi nell’aprile 1942.

Per carne, patate, baccalà, formaggi, latte e uova vige il sistema di contingentamento provinciale che funziona mettendo a disposizione per periodi diversi (settimanali, quindicinali, mensili) una certa quantità di generi alimentari distribuiti nei Comuni.

La politica dei razionamenti e l’irregolarità delle distribuzioni produce come immediata conseguenza il contrabbando e lo sviluppo del Mercato nero (vedi) che aggrava l’inflazione (dal 1940 al 1942 il costo della vita sale del 43% e addirittura del 67% per gli alimenti).

Gli acquisti degli alimenti razionati sono controllati dal prefetto attraverso l’ausilio di una Carta annonaria (vedi), subito battezzata dal popolo “tessera della fame”.

La carne diventa quasi subito irreperibile, come anche caffè e vino. In alcuni casi si rimedia alla penuria con la promozione di Surrogati (vedi).
Nel 1942 l’Italia tutta è gravemente affamata. La scomparsa, per lunghi periodi, di carne, uova, formaggi, patate e farina è la ragione di proteste di piazza delle donne di tutt’Italia le quali, raccolte davanti ai negozi per le lunghe code necessarie ad ottenere un po’ di pane duro o un po’ di riso con cui sfamare la famiglia, si mobilitano.

L’evidente fallimento dei razionamenti conduce il governo fascista a promuovere in emergenza l’allestimento di Orti di Guerra (vedi) nei centri abitati e industriali.

Nella Repubblica Sociale Italia la quantità di alimenti razionati si riduce ancora, fino a raggiungere quote pro-capite affamanti.

Bibliografia

  • P.Luzzatto-Fegiz, Alimentazione e prezzi in tempo di guerra (1943), Editrice Universitaria di Trieste, Trieste 1948.
  • M. Isnenghi, G. Albanese, Gli Italiani in guerra, il ventennio fascista: la seconda guerra mondiale, UTET, Torino 2008.