I dati in merito a calorie (calcolate con un valore medio pro-capite) e consumi, deducibili da numerosi documenti commerciali e ministeriali, sono uno strumento empirico spesso utilizzato da storici e sociologi per analizzare la condizioni economico-sociali in un determinato contesto.
Nel corso della Seconda Guerra Mondiale il sistema di Razionamento (vedi), iniziato nel 1940, determina una denutrizione diffusa nel popolo italiano che peggiora di anno in anno fino alla Liberazione e viene gradualmente risolta nel dopoguerra. Le calorie assicurate rappresentano un apporto medio di 1000 al giorno, circa 1/3 di quelle considerate necessarie ad un buon sostentamento per le classi lavoratrici. Per compensare al deficit chi se lo può permettere fa ricorso al Mercato nero (vedi), molto diffuso su tutto il territorio nazionale, anche perché l‘attività di repressione del fenomeno, pomposamente reclamizzata dal regime, non ha gli effetti sperati. Gli organi di polizia non intervengono mai davvero contro i grandi contrabbandieri, mentre la repressione colpisce spesso la povera gente sorpresa con piccoli acquisti illegali.

I dati su consumi e stipendi nelle città del nord Italia restituiscono una situazione sulla carta migliore che nel Mezzogiorno, dove si registra un tasso di disoccupazione più alto. Ma va detto che spesso le condizioni nelle campagne, punto di partenza della filiera alimentare, possono essere migliori, soprattutto in primavera ed estate.

Nella primavera del 1942 a Milano il burro costa 80 lire al chilo; la farina di frumento 50 lire; l’olio 100 lire al litro; le uova 40-50 lire la dozzina. Nelle fabbriche con produzione strategica e salari più alti un operaio specializzato guadagna 3,52 lire l’ora, 2,81 un operaio qualificato, 2,44 un manovale specializzato, 2,29 un manovale comune. Il salario femminile è di 1,52 lire per le operaie di categoria A (equiparate agli operai qualificati) e di 1,24 per quelle di categoria B.

Il salario mensile medio di un operaio è di 550 lire, quello di una donna 291, ma solo nei rari casi in cui si lavora a tempo pieno. I sussidi alle famiglie dei militari sono di 8 lire al giorno per la moglie e 3 lire per i figli. Date queste cifre un mese di lavoro di un operaio medio aveva il valore economico di 11 chili di farina e di 6 chili per un’operaia (utilizzando il prezzo della farina come unità di misura e traducendo i dati ai valori del presente, sarebbe come se un operaio di oggi guadagnasse circa 15 euro al mese, ridotti ad 8 per una donna).

Nel 1942, anche grazie all’inflazione del 400% causata per lo più dal fenomeno della Borsa nera (vedi), il valore medio dello stipendio mensile di un operaio risulta appena sufficiente a coprire la metà del fabbisogno calorico per se se stesso.

Bibliografia

  • P. Luzzatto-Fegiz, Alimentazione e prezzi in tempo di guerra (1942-1943) Editrice Universitaria Trieste, Trieste 1948.
  • G. Bertolo, Operai e Contadini nella crisi italiana del 1943-44, Milano, Feltrinelli, 1974.
  • N. Labanca (a cura di) Gli italiani in guerra Vol. 5, Le armi della Repubblica: dalla Liberazione ad oggi, UTET, Torino 2009.