Col termine latifondo s’indica una proprietà terriera di grandi dimensioni e il latifondismo è il fenomeno d’accentramento della proprietà giuridica della terra.

La mole del fenomeno in Italia rimane sostanzialmente invariata fino alla riforma agraria del 1950 che limita per legge il possesso di terra e avvia al tramonto la concentrazione fondiaria. Il tema ha una grande importanza politica e sociale in quanto è strettamente correlato allo sviluppo e rinnovamento dell’industria agricola, alla sua produttività, alla carenza e varietà di cibo per la popolazione.

Un esempio eclatante della concentrazione della proprietà terriera risiede nella stessa provincia della capitale del nuovo Regno: al momento dell’Unificazione, nel cosiddetto Agro Romano (circa 208.000 ettari dal Mar Tirreno ai Monti Sabatini) 72 proprietari privati possiedono 11.000 ettari di terra, il patrimonio ecclesiastico è di oltre 7.000 ettari, mentre quasi 2500 ettari sono in mano a opere pie. Fino a tutta la prima metà del ‘900 queste erano le condizioni dell’intero litorale laziale, delle maremme toscane, del Tavoliere delle Puglie, della piana di Metaponto, delle cimose litoranee calabresi tirreniche e ioniche, della piana di Catania, delle terre cerealicole della provincia di Enna.

Fra le due guerre nel ventennio fascista la questione del latifondismo si confonde con la progettazione di opere di bonifica, tanto che spesso, invece di recuperare terre dalla proprietà dei latifondisti, si mira a ricavarne di nuove. Il sistema latifondistico non favorisce una razionale produttività agricola, ciò che, già evidente in tempo di pace, emerge drammaticamente durante la seconda guerra mondiale.