Nella prima metà del Novecento la comunità ebraica ferrarese — il cui nucleo originario risale al XII secolo, poi rinvigorito grazie alla politica Ercole I d'Este che accolse a braccia aperte nel 1492 gli ebrei sefarditi in fuga dalle persecuzioni di Isabella di Castiglia — è composta da più di ottocento cittadini, fra cui esponenti di primo piano della vita culturale e politica della città. Quello che fu per cinque secoli il ghetto della comunità ebraica di Ferrara, dal 1860 al 1938 (anno delle leggi razziali fasciste) è centro vitale dell'artigianato locale e ospita un’alta concentrazione di osterie, forni, salumerie, fruttivendoli e verdurai, mescite di vini.

I menù tradizionali della comunità ebraica ferrarese in onore delle festività religiose prevedono per il Sabbath (sabato): taglioni con la brusca, sogliole marinate, vitello freddo del sabato, melanzane e melone; per il Rosh ha-shanà (capodanno ebraico): cappelletti o tortellini, polpettone di tacchino, zucca gialla fritta o al forno, dolce di miele; per lo Yom Kippur (che chiude dieci giorni penitenziali): tagliolini in brodo, trote lesse con maionese o scaloppini al marsala, zabaione. Osservando questi menù si rimane sorpresi nel trovare ben poco di esotico, di stravagante o distante dalle vivande della cucina italiana (fatta eccezione per gli alimenti non kasher come maiale, cavallo, o carne cotta nel latte). Anzi, Pellegrino Artusi nel celebre La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene (1891), parlando di melanzane e finocchi sottolinea il vasto contributo dei giudei alla cucina dello stivale («che hanno sempre avuto buon naso più de' cristiani») e rammenta come nei mercati questi ortaggi vennero a lungo «tenuti a vile come cibo degli ebrei».

Fino alla seconda guerra mondiale nel ghetto si vendono i salsiccioni d'oca che dal Cinquecento sono considerati specialità di salumeria. Sempre con l'oca, il maiale degli ebrei, si preparano prosciutto e cervellati, venduti in tutto nord Italia. Nel cuore del ghetto Vittoria Benvenuta Ascoli, detta Nuta, teneva un prezioso negozio di caviale delle uova di storione del Po, maestoso pesce dal peso di 300 Kg, importantissimo nell'economia dei pescatori padani (si tratta di un caviale differente da quello russo, perché cotto e venduto fresco e che non si conserva più di venti giorni).

Un'altra eccellenza della cucina ebraica ferrarese sono senza dubbio i dolci, di grande tradizione sia nella pasticceria che nelle confetture. Consuetudine della cena di Pesah servire il Karoset Elsa simile a una marmellata (di castagne secche cotte assieme a prugne, mela e pera grattugiata, con aggiunta di zucchero e pane azimo grattugiato). Dolci ebraici in uso a Ferrara prima della Shoah sono Orecchie di Aman (Purim), Strudel (Tu Bishvat), Scodelline con Amaretti e Zuccherini (prima sera di Pesach), Torta di mandorle (seconda sera di Pesach), Zabaione (per il Yom Kippur), Bollo (dolce lievitato per il Succhot) Pampepato (Hannucà), marzapane e pignoccate (Purim), torta di cioccolato Susanna (Shavuot).

Quando dopo le leggi razziali la comunità ebraica è ridotta in povertà diventa consuetudine mangiare i guscetti di piselli già presenti nel menù pasquale come contorno alle carni. I guscetti, privati pazientemente della pellicina bianco-argentata interna, ottimi bolliti, conditi con aceto e saltati nell'olio, diventano piatto di tutti i ferraresi, anche non ebrei.

(foto tratta da Museo Ferrara).


Approfondimenti bibliografici:

Tina Ottolenghi, La cucina ebraica Ferrarese, in La Kasherut, le norme alimentari ebraiche, aspetti e problemi (Atti del convegno), 1993.

M. Marziani, Il caviale del Po, una storia ferrarese, Ed. 2G.

V. Norsa Pesaro, La cucina ebraica di casa.