Coltivazione e trasformazione industriale del frumento hanno in Emilia Romagna una storia interessante, di cui si può dare conto attraverso alcune particolari vicende.

Per quanto riguarda coltivazione e attività molitoria, un esempio di mulino tradizionale capace di cogliere positivamente gli stimoli all’ammodernamento, si trova a Bentivoglio, in provincia di Bologna, dove la tenuta-sede del mulino edificato a metà del XIV secolo e sfruttato dalla famiglia Bentivoglio, viene acquistata nel 1864 dalla famiglia Pizzardi. Tra 1913 e il 1919 il prodotto principe del fondo (per coltivazione e produzione: 5.525 quintali nel 1913) è il frumento e la sua lavorazione nel mulino. Nel 1920 la proprietà viene donata all’Amministrazione degli Ospedali di Bologna e nel 1926 entra in funzione il nuovo mulino riammodernato dalla Ditta Alessandro Calzoni, in collaborazione con le Officine Reggiane.
L’edificio, gravemente colpito da un’esplosione provocata dai tedeschi in fuga la notte del 21 aprile 1945, era dal 1930 in affitto alla Società G. Calanchi e C. Già dagli anni ’50 inizia un lento declino che porta alla chiusura definitiva all’inizio degli anni ’70.

Le innovazioni tecnologiche che riguardano i macchinari sono fondamentali per lo sviluppo di una moderna industria alimentare. In Emilia, le Officine Meccaniche Reggiane (OMI) si affacciano sul mercato delle macchine alimentari tra il 1918 e il 1920, attraverso l’acquisizione di alcune aziende (tra cui la SAM di Monza) che costruiva anche impianti per silos, mulini, risifici e pastifici. Nel 1932 l’azienda inizia anche la costruzione di macchine agricole.

Negli anni ’30 le Reggiane sono il complesso più sviluppato a livello nazionale per l’industria molitoria (tutti i mulini militari italiani erano stati costruiti dalle OMI, così come centinaia di mulini per l’industria privata). Nella piccola industria le Reggiane s’impongono con un tipo di mulino automatico brevettato.

La costruzione di macchine agricole cresce costantemente, grazie anche alle commesse statali, come la vendita di 250 falciatrici all’Ente di Colonizzazione della Libia.

Dal 1940 la guerra provoca una contrazione nelle vendite. La scarsità di materiali ferrosi, nel ramo mulini e silos, provoca enormi ritardi nell’approntamento dei macchinari, mentre alcune macchine rivelano malfunzionamenti perché costruite con materiale autarchico inadatto.
Infine nel parmense, a cavallo fra XIX e XX secolo, si origina, grazie a progetti e innovazioni tecniche, una vocazione alla produzione industriale pastaria viva tuttora. Nel 1870 l’ing. Ennio Braibanti, figlio adottivo di un mugnaio, fonda a Parma un pastificio nei locali del mulino di Valera. Nel 1910 il pastificio produce 10 q.li di pasta al giorno, ha una quindicina di dipendenti e un mercato attivo in provincia di Piacenza, Brescia e Verona.
Nel 1928 i fratelli ingegneri Mario e Giuseppe Braibanti, figli di Ennio, aprono uno studio per la progettazione di impianti per pastifici. Dopo cinque anni di ricerche, nel 1933, riescono a unire impastatrice, gramola e pressa in un’unica macchina, in grado di lavorare la pasta in modo continuo, e la sperimentano nel proprio pastificio. L’innovazione è rivoluzionaria e già negli anni ‘30 i Braibanti producono (presso l’Officina Meccanica di Tomaso Barbieri a Parma in Barriera Bixio) e vendono centinaia di esemplari della loro macchina, progressivamente migliorata.
Riccardo Barilla, titolare del pastificio parmigiano di Barriera Vittorio Emanuele, fa installare dal 1936 una serie presse Braibanti, dotando il suo stabilimento di macchinari d’avanguardia.